GUIDO PICELLI, EROE ANTIFASCISTA

Giancarlo Bocchi

Giancarlo BocchiIl 5 gennaio 1937, sulle alture spagnole de El Matoral, una pallottola vigliacca colpiva alle spalle e uccideva Guido Picelli, vicecomandante del Battaglione Garibaldi.
Sulla vita di uno degli oppositori antifascisti più importanti e ingiustamente anche più misconosciuti della storia del nostro paese, da più di 10 mesi sto portando avanti una ricerca storica-documentaristica per la realizzazione di un film, che mi ha portato a viaggiare attraverso gli archivi riservati e segreti di Russia, Spagna, Francia e Italia.
Qui sotto ho voluto ricordare un episodio poco conosciuto della vita del rivoluzionario di Parma, ma importante per il suo significato storico-politico e simbolico: nel 1924 Picelli inalberò la bandiera rossa sul Parlamento italiano sfidando Mussolini che aveva abolito la Festa del Primo Maggio.
Ma chi era quest'uomo coraggioso, altruista, nobile, libertario e beffardo? Negli anni '20 e '30 fu una vera leggenda per il proletariato internazionale. Il teorico della «guerriglia urbana» era in realtà un fervente anti-militarista che si serviva delle tecniche e strategie militari per difendere il proletariato. In questo senso sarà sempre ricordato per la «Battaglia di Parma» del 1922, quando sconfisse con 400 Arditi del popolo i 10 mila squadristi fascisti guidati da Italo Balbo. Fu una vittoria unica, un capolavoro tattico che le forze politiche democratiche nazionali non vollero trasformare in strategia. Così tra errori, settarismi e divisioni, misero il paese in mano ai fascisti.

La strategia politica di Picelli era racchiusa in due parole: «unità e azione». Con il suo Fronte unico, composto da anarchici, comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani, ecc. nel 1922 sbaragliò i fascisti. Per primo aveva indicato una via, che sarà poi percorsa molti anni dopo, con grave ritardo e a volte malamente, dalle forze democratiche.
In questa occasione, grazie a un documento inedito trovato negli archivi russi, per la prima volta possiamo indicare Guido Picelli, non solo come il vice-comandante dei garibaldini di Spagna, ma anche come il comandante dell'8° Battaglione delle Brigate Internazionali. Quello che i suoi volontari chiamavano affettuosamente «il Battaglione Picelli».  

1922-barricate-di-Parma

 

La bandiera rossa sventola su Montecitorio

Il primo maggio 1924 non è un giorno di festa. Mussolini, che ha preso il potere da quasi due anni, ha abolito la Festa internazionale dei lavoratori. Malgrado l'imposizione del regime fascista le astensioni dal lavoro sono comunque massicce. Pattuglioni di agenti di polizia e di carabinieri si aggirano per le vie arrestando gli operai che non possono giustificare l'astensione dal lavoro. Solo nella capitale i lavoratori arrestati sono più di mille.
Il-guerriero-della-rivoluzioneÈ in questo contesto che Guido Picelli, deputato comunista, già comandante degli Arditi del popolo durante la vittoriosa Battaglia di Parma del '22 contro migliaia di squadristi di Italo Balbo, progetta e attua un'azione solitaria e clamorosa. Picelli vuole sfidare il regime fascista proprio nel palazzo del Parlamento ormai in mano ai fascisti, anche grazie ai brogli elettorali.
Nelle elezioni che si sono svolte da poco la lista nazionale del fascio littorio ha riportato, secondo i conteggi ufficiali, 4 milioni di voti e eletto 356 deputati. Più i 19 fascisti eletti in una lista civetta. La sinistra ha ottenuto al Nord più voti dei fascisti, ma il risultato elettorale complessivo è disastroso. I socialisti hanno perso i 3/5 dei voti, mentre il Pc ha ottenuto un piccolo successo, eleggendo 19 deputati. Tra questi l'«indipendente» e ex deputato socialista Guido Picelli.
Il sistema delle preferenze indicate dal Partito è rigido. Ma Picelli vince ugualmente. È l'unico a essere eletto al di fuori delle preferenze del Partito, grazie al largo seguito popolare che ha in Emilia.
Picelli è alto, ha gli occhi intensi, luminosi e magnetici. Ha un portamento elegante e fiero che incute rispetto. Quella mattina del primo maggio del 1924, all'ingresso della Camera dei deputati i commessi lo salutano con deferenza, rispetto e forse commentano tra di loro: «L'on. Picelli è veramente matto a venire qui proprio oggi». È un giorno di tensione. Decine di deputati fascisti bivaccano nell'edificio.
Ma Picelli è uno che non ha paura di niente e di nessuno. Sulla tempia ha una cicatrice. È il segno di un colpo di rivoltella ricevuto nel marzo 1923. Un fascista di Parma aveva mirato dritto alla sua fronte e gli aveva sparato a bruciapelo. Per fortuna o per caso, Picelli si era salvato con un movimento istintivo della testa.
il-ribelleNegli ultimi mesi è scampato a numerose aggressioni che potevano diventare mortali. Con l'aiuto dei popolani dei borghi dell'Oltretorrente ha organizzato una rete segreta di percorsi e vie d'uscita per fuggire con gli uomini della sua organizzazione clandestina dei «Soldati del popolo» agli agguati e agli attentati squadristi. Per organizzare la resistenza e partecipare alle riunioni politiche riesce ad attraversare gran parte della città di Parma passando per i tetti delle case. Frequentemente salta dalle finestre e passa per gli scantinati e i sotterranei seguendo percorsi sconosciuti a altri. Per i fascisti locali è diventato l'imprendibile. Picelli non è un politico di primo piano come Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci o Palmiro Togliatti. Ma al contrario dei dirigenti può vantare di essere l'unico che ha sconfitto sul piano militare i fascisti durante la Battaglia di Parma, nelle 5 giornate dell'agosto 1922.
Per il proletariato italiano Picelli è una leggenda. Una leggenda che «ha un coraggio di ferro», come dicono i popolani della sua città. Anche per questo motivo è molto temuto dai fascisti, fuori e dentro il Parlamento.
Nell'ottobre 1923 venne organizzato un complotto (come poi avverrà mesi dopo per Matteotti) per farlo fuori. Vincenzo Tonti, infiltrato, strumento del regime, preso dal rimorso e affascinato dalla nobiltà d'animo di Picelli denuncia pubblicamente: «Gli orditori del complotto erano divisi da due opinioni: secondo alcuni l'on. Picelli doveva essere bastonato a sangue (...), secondo altri egli doveva scomparire addirittura». Chi erano gli organizzatori del complotto? Tonti denuncia il generale Agostini, il generale Sacco, il vicequestore Angelucci e Italo Balbo. Il complotto doveva avere inizio proprio davanti alla Camera dei deputati. Un portiere infedele, vedendo uscire Picelli, doveva avvertire i sicari del regime.
Ma quel primo maggio del 1924 Picelli non si cura dei complotti e dei rischi che corre. Ha in testa l'azione che deve portare a termine. È deciso, determinato. Dopo essere riuscito a seminare i pedinatori, a far perdere le sue tracce agli sbirri che lo seguono giorno e notte, attraversa i corridoi di Montecitorio con l'aria decisa di chi ha un lavoro urgente da fare. In mano ha il solito bastone da passeggio, che a volte gli serve come arma di difesa, e tiene sottobraccio qualcosa di morbido avvolto in una carta. Sale lo scalone del palazzo e senza dare nell'occhio arriva al primo piano. Attraversa alcune sale, si dirige verso la grande finestra prospiciente il balcone sulla facciata principale sulla piazza di Montecitorio .
Picelli esce sul balcone, scarta il pacchetto che aveva sottobraccio e srotola un grande drappo rosso ornato di falce e martello. L'asta portabandiera che si protende sulla piazza è nuda. Il tricolore sabaudo viene inalberato solo durante le sedute del Parlamento. Ma in quel momento non c'è alcuna bandiera perché la nuova legislatura non è ancora iniziata. Picelli con l'aiuto di alcuni pezzi di spago fissa il vessillo rosso sull'asta.
Dalla piazza i passanti, le forze dell'ordine e i fascisti guardano allibiti il vessillo rosso dei lavoratori e del comunismo che sventola placidamente sul palazzo del parlamento del regno. Picelli, anche approfittando del trambusto e confusione, scende tranquillamente le scale ed esce dal palazzo. Nessuno lo ferma. Nessuno gli chiede niente.
Il suo non è un atto per riaffermare lo slogan bordighista «Rosso contro tricolore», ma piuttosto un gesto simbolico per affermare che la Festa dei lavoratori non si tocca.

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La polizia, dopo aver rimosso il corpo del reato dall'asta del palazzo del Parlamento, svolge intense e urgenti indagini. Benito Mussolini, che non si è ancora trasferito a Palazzo Venezia e alberga da Presidente del consiglio nel vicino palazzo Chigi è furioso: «Ancora quel Picelli!»
Probabilmente in Mussolini quel giorno riaffiorano i timori espressi prima della marcia su Roma: «Non possiamo arrivare a Roma lasciandoci alle spalle una situazione scoperta e pericolosa come quella di Parma». I primi rapporti di polizia arrivano alle 16.30 dello stesso giorno nelle mani del capo della polizia: «Verso le ore 14, l'on. Dudan, entrato con l'ing. Foscolo del Comune di Roma, nel salone di lettura della Camera, si era accorto che era stato attaccato all'asta della bandiera, posta al balcone di centro del 1° piano del Palazzo di Montecitorio, un drappo rosso (...). Immediatamente l'on. Dudan si era affrettato a togliere quel drappo, informandone successivamente la Questura della Camera. Questa avrebbe raccolto sufficienti elementi per ritenere autore del gesto inconsulto l'on. Picelli, deputato di Parma, che non è stato più rintracciato nel locali della Camera».
Il rapporto del questore, il giorno dopo si si arricchisce di particolari: «Alle ore 13.45 di ieri l'on. Dudan e l'architetto Fasolo (Foscolo nel secondo rapporto di polizia diventa Fasolo) del Comune di Roma, saliti al salone dei giornali, alla Camera dei Deputati, notarono che un individuo vestito di nero, sbarbato, si ritirava dal balcone prospiciente su piazza Montecitorio, allontanandosi frettolosamente dal salone stesso. Insospettito, l'on. Dudan si avvicinò al balcone e si accorse che un drappo rosso era stato legato all'asta della bandiera». Quindi, secondo i documenti ufficiali, la bandiera rossa dei lavoratori e del comunismo sventolò per almeno 15 minuti sul palazzo del Parlamento italiano.
L'epilogo della clamorosa azione avviene alle 17.30 dello stesso giorno. Picelli viene rintracciato dalla polizia in via Uffici del Vicario e «tratto in arresto». Secondo il rapporto della Questura «L'on. Picelli confessò (sic) il fatto aggiungendo di aver voluto compiere una affermazione di carattere sentimentale e politico». Il questore inviperito per la beffa arresta Picelli «per delitto di offesa alla bandiera nazionale, ai sensi dell'articolo 115 Codice Penale».
Come ricordò Umberto Terracini anni dopo, Picelli compì l'azione «temerariamente e di sua iniziativa» aggiungendo poi che «dopo che essa fu compiuta certamente nessuno dei compagni di partito gliene fece rimprovero».
Dopo poche settimane, il 10 giugno 1924, viene rapito e assassinato a Roma da sicari fascisti il deputato socialista Giacomo Matteotti. Il 30 maggio 1924 Matteotti aveva preso la parola alla Camera elencando tutte le illegalità e gli abusi commessi dai fascisti per vincere le elezioni. Nel discorso venne pronunciata la profetica frase: «Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai». Il corpo di Matteotti viene ritrovato il 16 agosto in un bosco nel comune di Riano a 25 km da Roma. L'intero paese è scosso da un'ondata di sdegno e d'indignazione. Il regime fascista vacilla.
Il 17 luglio al Comitato Centrale del Partito, Picelli propone la linea dell'azione: «L'organizzazione di carattere militare deve essere rafforzata. Da un momento all'altro noi possiamo essere trascinati sul terreno dell'azione e guai se il Partito non fosse in condizione di compiere interamente il suo dovere...»

Come ai tempi della battaglia di Parma del 1922, il suo appello all'«unità e all'azione» non sarà ascoltato.

 

Daniele Barbieri

Storia di Guido Picelli ardito del popolo a Parma

Guido Picelli è caduto sul fronte di Madrid, alla testa del battaglione che porta degnamente il nome di Garibaldi. Così Milicia Popular (quotidiano del Quinto reggimento) lo ricorda: «Nell’agosto ’22, quasi tutte le bande fasciste del Nord, sotto il comando del generale Balbo, si concentrano su Parma per far cadere questa città che Picelli con i suoi Arditi del popolo ha reso invincibile. Dopo un duro combattimento, le orde fasciste vengono respinte e messe in fuga».
Madre portinaia, padre cocchiere: Picelli nasce a Parma il 9 ottobre 1889, cresce nei borghi dell’Oltretorrente, covo di un popolo ribelle. Fa le medie e poi va a lavorare come orologiaio. La sua passione è il teatro. Ha 17 anni quando dice in casa: «Metti giù il riso che torno». Lo rivedono 6 anni dopo; con la battuta pronta chiede se il riso è cotto, poi racconta le sue avventure di attore girovago. Si trova un lavoro da orologiaio. Tranquillo per un po’ … finché all’orizzonte si affaccia la guerra.
Sin da giovanissimo iscritto al Partito socialista, Picelli è contro. Quando inizia la guerra, coerente antimilitarista, si arruola volontario nella Croce Rossa. Ma viene richiamato in fanteria, allora fa domanda da ufficiale. Finisce la guerra da tenente, medaglia di bronzo al valore e zoppicante per una ferita.
Più socialista che mai, capisce il grave problema dell’aiuto a chi è stato colpito dalla guerra e diventa dirigente della “Lega proletaria mutilati, invalidi e vedove dei caduti”.
Ma sulla scena è apparso il fascismo. Picelli intuisce subito il pericolo. Quando nasce il Partito comunista, Picelli è in carcere. Ne esce pochi mesi dopo perché eletto deputato (col PSI). Nel ’21 in varie città si formano, in modo spontaneo, gli Arditi del popolo, Picelli è da subito in prima fila. Si lagnano le camicie nere che fra l’ottobre 1920 e la marcia su Roma (due anni dopo) cadono 300 fascisti ma le vittime dello squadrismo sono 10 volte tanto, 3mila. Mentre Turati e altri dirigenti invitano alla calma, Picelli scrive: «Occorrono metodi nuovi. Di fronte alla forza armata occorre la forza armata (…) La borghesia per attaccarci non ha creato un partito ma un organismo armato, il fascismo. Noi dobbiamo fare altrettanto».
Guido-PicelliNel ’22 il terrore fascista dilaga. La risposta è debole, le sinistre divise quasi ovunque ma Parma non cede. «È l’ultima roccaforte in mano delle forze anti-nazionali» scrive Italo Balbo, uno dei capi fascisti. In agosto parte un attacco in grande stile, guidato da lui. Ma l’Oltretorrente di Parma è pronto a resistere: l’organizzazione difensiva è stata avviata 14 mesi prima. «Per la prima volta», è di nuovo Balbo, «il fascismo si trovava di fronte a un nemico agguerrito, organizzato e deciso a resistere»: e alla fine le camicie nere si ritirano, lasciando 30 morti sul terreno. Non sono riusciti a passare in 20 mila ben addestrati (venuti da mezz’Italia) contro poche centinaia di combattenti ma sostenuti da quasi tutta la città. Vorrebbero ritentare quasi subito ma Mussolini blocca Balbo: la “marcia su Roma” è prossima, la vendetta su Parma può aspettare.
Nel dicembre ’22 gli Arditi del popolo si sciolgono, in realtà molti tentano di iniziare, con scarso successo, un’attività clandestina. Intanto Picelli si è avvicinato ai comunisti e alla fine del ’23 si iscrive al partito ma è escluso da incarichi direttivi per il suo “libertarismo”. Nel ’24 sarà rieletto nelle liste di “Unità proletaria” (comunisti e terzinternazionalisti). Il primo maggio 1924 è autore di una beffa clamorosa: issa una bandiera rossa con falce e martello sul palazzo del Parlamento. Dal ’26 il regime lo confina a Lipari. Nel novembre ’31 è rimesso in libertà, il partito gli ordina di espatriare.
Scappa in Francia, poi arriva a Mosca. Nel luglio ’36, con l’aiuto di Hitler e Mussolini, il generale Franco attacca la Repubblica spagnola. Molti italiani accorrono volontari. La parola d’ordine è “Oggi in Spagna, domani in Italia”.
In modo fortunoso, senza neanche una valigia, Picelli arriva da solo a Barcellona. Addestra i suoi uomini con passione: «dovete essere disciplinati e coraggiosi». Un volontario (il tipografo Canonica) lo ricorda così: «Picelli è come il correttore di bozze in tipografia: corregge gli sbagli». Finito l’addestramento si va a combattere: il 5 gennaio 1937 Picelli, al comando di due compagnie garibaldine, cade sull’altura di El Matoral.
Diverse le versioni sulla sua morte. C’è chi dice che, spinto dalla sua generosità, disobbedisce alle regole secondo cui chi comanda una compagnia non deve esporsi in azioni d’avanguardia. C’è chi parla di un proiettile alle spalle come accade per altri militanti “non ortodossi” che vengono considerati dagli stalinisti più pericolosi dei fascisti. Di un mistero non risolto – lo ha ricordato Alias-il manifesto, in luglio – parla Gustav Regler, uno dei comandanti delle Brigate internazionali in La grande crociata, scritto nel 1940 (con prefazione di Ernest Hemingway) ma ancora inedito in Italia.
È in uscita un documentario di Giancarlo Bocchi su Picelli ma intanto chi si recasse in libreria faticherebbe a trovare testi sugli Arditi del Popolo. Le fonti di questo articolo sono soprattutto in Barricate a Parma (Libreria Feltrinelli di Parma, 1972) di Mario De Micheli e Gli Arditi del popolo (Galzerano, 2002) di Luigi Balsamini.
Ma è interessante anche Arditi non gendarmi (Bfs edizioni, 1997) che indaga sulla complessa storia che si dipana «dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo». Istruttivo confrontare la vittoriosa resistenza di Parma con la sconfitta di Novara del mese precedente, come l’ha raccontata Cesare Bermani in Novara 1922, battaglia al fascismo (Sapere, 1972).
E sulla resistenza a Sarzana – con gli Arditi del popolo in prima fila – Luigi Faccini gira nel 1980 Nella città perduta di Sarzana. Particolarmente significativa, considerando le sue posizioni moderate, la presentazione di Giorgio Amendola (allora dirigente di primo piano del PCI) al libro Barricate a Parma, uscito nel cinquantenario della battaglia dell’Oltretorrente. Amendola scrive che se gli Arditi del Popolo non si sviluppano «dipende anche dal settarismo del PCI» mentre invece la sua «base unitaria» diventa «un’anticipazione di quel movimento che dovrà costituire la base della Resistenza e della vittoria».
Pochi mesi prima, esce il quotidiano Lotta continua e come sfondo del titolo sceglie proprio le barricate di Parma: il riferimento non è casuale, perché dopo le stragi e le aggressioni fasciste fra il ’69 e il ’72, in Italia tira aria di golpe e parte della sinistra (extra-parlamentare e non solo) ritiene che una nuova Resistenza sia necessaria.

da: http://www.liberazione.it/

2014-06-18 07 battaglione-arditi-del-popolo